Marco Forni

Marco Forni (1961) ha scritto diversi saggi di carattere sociolinguistico, storico-etnografico e lessicografico.

Ha svolto attività didattica e di ricerca incentrata sullo studio del lessico, della grammatica e della traduzione.

È autore del “Wörterbuch Deutsch – Grödner-Ladinisch. Vocabuler Tudësch – Ladin de Gherdëina” (Istitut Ladin Micurà de Rü, 2002) e del “Dizionario italiano – ladino gardenese. Dizioner talian – ladin de Gherdëina (Istitut Ladin Micurà de Rü, 2013).

Nel 2013 è uscito il suo primo romanzo “Una parola negli occhi” per i tipi Edizioni Forme Libere (Premio letterario “Francesco Gelmi di Caporiacco”, sezione: miglior testo “A casa nella lingua”).

Nel 2019 è uscita l’opera grammaticale “Gramatica ladin gherdëina” e la “Grammatica Interattiva Ladina Gardenese” (G.I.L.G.).

Ha vinto l’ottava edizione (2020) di Salva la tua lingua locale – sezione “Premio Tullio De Mauro” con il “Dizionario italiano – ladino gardenese”.

Il titolo più recente è “Parole in cammino fra ladino, italiano e tedesco. Divagazioni etimologiche e letterarie” (2022; Concorso Nazionale “Mario Arpea”: Premio speciale “Dante Alighieri”).

Nel 2023 è stato nominato socio del “Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani”.

Ha tenuto lezioni e seminari nelle: Università degli Studi di Padova, Università di Trento, Università degli Studi di Palermo, nella Libera Università di Bolzano; tiene lezioni su invito alla “Sapienza” Università di Roma.

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Sul Trentino la presentazione di Una parola negli occhi

A firma del giornalista Cario Bertorelle del "Trentino" è apparso oggi, 14 giugno, un interessante e ampio articolo sulla presentazione del romanzo "Una parola negli occhi" di Marco Forni che si terrà domani al Trentino Book Festival di Caldonazzo durante la quale l'autore dialogherà con Alberto Faustini e i lettori.   Clicca sull'immagine per scaricare il PDF oppure leggi il testo sottoriportato.   Una scrittura particolareggiata e analitica, un respiro narrativo che si fa spesso incalzante e concitato colpiscono nel romanzo di Marco Forni “Una parola negli occhi”, recentemente pubblicato dall’editore Forme libere e presentato nei giorni scorsi a Bolzano alla presenza dell’autore. L’autore spiegherà le ispirazioni del suo libro in un incontro all’interno di Trentino Book Festival sabato alle 18 al Bar Centrale di Caldonazzo. Condurrà l’incontro il direttore del Trentino, Alberto Faustini. La storia si muove in un intreccio. complesso, mescolando sequenze che si rincorrono in un misterioso succedersi di colpi di scena nello scenario di un paese alpino. E in effetti la prima impressione del lettore è quella di trovarsi di fronte a un giallo dalla trama esoterica e da qualche risvolto surreale, dato che si scopre una misteriosa setta di “scarificatori”, adepti alla dea Iside, attiva con propri riti sacrificali e maniacali regole delittuose. Ma lo scopo segreto degli affiliati alla confraternita è rivolto a un tesoro di cui la setta vuole detenere il controllo assoluto, un tesoro che non deve essere partecipato a nessuno. E per il quale vanno sacrificati sviluppo e crescita dei fanciulli, rapiti e segregati in una colonia (la Casa) dove ne succedono di tutti i colori. L’“arca perduta” è quella della lingua materna, il cui uso viene proibito severamente, allo scopo di creare uno strumento artificiale di comunicazione che rompa ogni legame con storia e origini dei parlanti. Nella vicenda di queste lingue tagliate e proibite si affaccia forse una parabola sulla afasia moderna o, meglio, sulla omologazione linguistica indotta dal mondo dei media, della pubblicità, della rete che in realtà uccide la lingua viva dell’esistenza pulsante e della tradizione ormai estinta o sbiadita. Un tema pasoliniano, che Marco Forni rivisita in chiave romanzesca a partire, forse non a caso, da un ambiente come quello alpestre che dovrebbe virtualmente contenere, nel suo almeno apparente attaccamento alle tradizioni, gli anticorpi a una modernità distruttiva. Ma l’autore è di professione un linguista, un lessicografo, un etnologo studioso delle lingue ladine di area dolomitica e già autore di un dizionario ladino gardenese-italiano, oltre che appassionato di letteratura e già noto per un testo di poesie in ladino. E vive non a caso in val Gardena, dove le mescolanze linguistiche, i possibili apparentamenti tra registri e stili, e tra tradizione magica-gotica, leggenda e ipermodernità sono di casa. E la passione linguistica, nutrita di scorribande e contaminazioni tra lingue antiche, scomparse, moderne con un costante riferimento comparativo, è forse alla base anche di questa prova romanzesca, venuta alla luce, a differenza delle precedenti prove letterarie dell’autore, proprio in lingua italiana. Bella in proposito la pagina lirica così sensibile e psicologicamente ricca in cui si racconta il timido innamoramento di Mattia. Il puzzle narrativo e linguistico, non sempre facile, impegna il lettore in un’esperienza ardua e allo stesso tempo appassionante. Vengono alla mente opere tipo Il nome della rosa dove trama investigativa e misteriosi accadimenti si svolgono dentro un impianto dottrinale denso di riferimenti storici, filosofico-letterari e linguistici. Anche qui un potere occulto e violento si vuole opporre al flusso delle naturali pulsioni della vita, anche qui una sacra “religio” vuole imporsi con forza antistorica all’avanzare dei tempi nuovi, con la pretesa di superare la babele delle lingue e irrigidire il mondo in un logos adamitico fuori dallo spazio e dal tempo. Saranno i ragazzi Mattia e Mantea, con la forza della loro spontanea vitalità, uniti al saggio anche se tormentato Parloni, incarnazione di un disincanto a tratti macabro ma ancora capace di valori, ad avere alla fine la rivincita su avvenimenti terribili che avrebbero potuto distruggerli e hanno lasciato ferite indelebili; molte illusioni sono crollate, e il vero volto del male, prima travestito, si è rivelato nella sua luce brutale. Ma la prova che hanno dovuto affrontare li ha resi infine adulti e forti, anche se definitivamente soli e separati. Cario Bertorelle
Inserita 12 anni fa