Incanto

“Il vero lavoro dell’artista è di riattare vecchie navi. Egli può dire di nuovo, a suo modo, solo ciò che è stato detto”.
(Igor Stravinsky)

Qual è lo scopo di un’altra collana di Teatro? Proprio quello che diceva il grande maestro russo: riattare e colorare non una vecchia nave, bensì il vetusto carro di Tespi. A modo nostro. Tutto è stato già detto e scritto, ma c’è sempre qualcosa di nuovo da dire e da scrivere.

Testi e studi, di e sul Teatro, scritti non per dare risposte, ma per porre interrogativi. Che osino, ma con onestà. Che facciano ridere, piangere, riflettere. Il Teatro può fare ognuna di queste cose. O tutte queste cose insieme. Quando questo accade, c’è solo una parola che può dare il giusto senso: Incanto. Questo è quello che cerchiamo. Il Teatro nel quale crediamo, però, è un cavallo a cui non si possono mettere briglie, bensì uno stallone selvaggio libero per le praterie. Allora, se non lo si può imbrigliare, l’unica cosa che possiamo fare è di colorare l’erba sul quale lasciarlo correre sfrenato: “Verde” per testi che galoppano sulle distese della tradizione; “Rosso” per testi che volano sugli altipiani ondulati della sperimentazione; “Blu” per studi e saggi che trottano nelle vallate dell’analisi e della divulgazione. I colori dell’Incanto.

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